LE FASI DELLA METALLURGIA DELLE POLVERI

La produzione delle polveri

Le caratteristiche di un prodotto finito dipendono in larga parte dal tipo e dalle caratteristiche delle polveri impiegate: in particolare la costituzione chimica, la purezza, le dimensioni, la forma delle particelle, la granulazione, la struttura della superficie.

E’ necessario quindi dapprima trattare dei metodi di produzione delle polveri metalliche.

Un metodo di carattere generale e' rappresentato dalla decomposizione di un composto metallico, ad esempio dalla riduzione di un ossido, quando questa reazione possa svolgersi con velocita' adatta a un processo industriale e temperatura inferiore a quella di fusione.

Per la decomposizione di ossidi si possono impiegare come agenti riducenti l’idrogeno, l’ossido di carbonio o il carbonio secondo le reazioni:

MO+H2=M+H2O

MO+CO=M+CO2

MO+C=M+CO

Alcuni metalli sono precipitabili in forma di polvere incoerente mediante una reazione di spostamento da una soluzione acquosa di un loro sale, ad esempio il rame mediante spostamento con zinco o ferro da una soluzione del suo solfato.

Con alcuni processi piu' complessi e' possibile ottenere polveri con grani a struttura binaria, costituiti da un nucleo di un certo metallo, ad esempio ferro, rivestito da un altro, ad esempio nichel.

Alcuni metalli facilmente volatili, cioe' che presentano alta tensione di vapore a temperature non molto elevate, possono ottenersi in forma di polveri, facendone condensare rapidamente su una superficie fredda il vapore prodotto con un sufficiente riscaldamento.

I metalli che formano sali solubili possono essere ottenuti allo stato polverulento per deposizione elettrolitica con densita' di corrente catodica elevata da soluzioni acquose diluite.

Processi meccanici di produzione di polveri sono usati per i pochi casi di metalli fragili, ad esempio antimonio e bismuto, o per triturare depositi spugnosi ottenuti per via elettrolitica.

Il metodo piu' generale di produzione di polveri metalliche consiste nella cosiddetta atomizzazione, cioe' nella dispersione di una vena liquida della sostanza con un forte getto di gas o vapore.

Se un’operazione di tale tipo si effettua su una vena di metallo fuso, ogni gocciolina in cui esse viene suddivisa solidifica prontamente in un grano di polvere che sedimenta in un raccoglitore.

Un effetto analogo lo si puo' ottenere con l’urto di palette rotanti ad alta velocita' angolare.

Le polveri ottenute da ognuno di questi procedimenti subiscono un processo di essiccamento a cui seguono vari test per definire le caratteristiche della polvere.

Un test che ha attinenza con la scorrevolezza della polvere e' la misura della velocita' di flusso (flow rate) che si riflette sulla facilita' con cui si distribuisce sullo stampo: una bassa velocita' di efflusso puo' influenzare il ciclo operativo abbassando la velocita' di produzione.

La misura della densita' apparente della polvere permette di valutare la sua attitudine a occupare gli spazi disponibili dello stampo.

Vengono inoltre effettuati test di compressibilita', che valutano l’efficacia della pressione applicata con l’aumentare della densita' apparente; la resistenza del prodotto al verde da' indicazione sulla capacita' di manipolazione del prodotto dopo il compattamento e prima della sinterizzazione.

La pressatura delle polveri

Le polveri preparate con uno dei processi visti presentano, allo stato sciolto, un volume molto maggiore del reale. Il rapporto del volume dei vuoti al volume totale puo' arrivare al 93%, per assestarsi al 60-70% per forme tondeggianti.

Una vibrazione impressa al recipiente che la contiene provoca un maggiore ammassamento della polvere. Il volume dei vuoti puo' cosi' scendere al 35-45% dell’apparente.

Se alla polvere sciolta o costipata mediante scosse si applica una pressione crescente si produce un progressivo aumento della densita' apparente che tende al valore della densita' dello stesso materiale compatto ottenuto con la procedura piu' comune, per solidificazione del metallo fuso.

Con la pressatura i grani vengono spostati l’uno rispetto all’altro e deformati nelle zone di contatto mutuo. In tal modo aumenta progressivamente la densita' apparente e l’estensione globale delle zone di contatto.

Effetto della pressatura di una polvere metallica.

 

Se la pressione esercitata raggiunge un valore sufficientemente elevato, la massa di polvere pressata acquista una consistenza sufficiente a consentirne l’estrazione dallo stampo senza passare di nuovo allo stato incoerente.
Se l’altezza del corpo pressato e' piccola in confronto alle dimensioni trasversali, si puo' ritenere che la pressione agente in ogni punto sulla polvere sia praticamente la stessa. In caso diverso la pressione risulta massima sotto la faccia frontale del punzone, per effetto delle forze d’attrito che si sviluppano sulla superficie laterale dello stampo, che assorbono una parte notevole dello sforzo totale applicato.Il diverso valore della pressione da zona a zona porta a diversi valori della densita' raggiunta nella pressatura e corrispondentemente della durezza e della resistenza locale del pezzo prodotto con la successiva operazione di sinterizzazione.

L’aggiunta di lubrificante

Per ridurre queste differenze si usa aggiungere, nella pratica industriale, una piccola quantita', non superiore al 4%, di lubrificante. Queste aggiunte dovrebbero agevolare lo scorrimento mutuo dei grani nella pressatura delle polveri negli stampi consentendo il raggiungimento di una piu' elevata densita'.

Per avere un’uniforme distribuzione il lubrificante puo' essere disciolto in un solvente volatile e in questa forma disperso nella massa di polvere. L’evaporazione del solvente fa si che il lubrificante rivesta con un sottile velo ogni grano.

Questo aumenta la compressibilita' delle polveri solo se le polveri sono costituite da granuli sferici o pseudo poliedrici con superfici convesse e lisce.

Se le polveri sono costituite da granuli con superfici irregolari l’efficacia del lubrificante e' molto ridotta e varia col valore della pressione applicata.

In questi casi, infatti, allo spostamento relativo dei grani si oppone, piu' che l’attrito mutuo, il complesso delle forze d’incastro tra le asperita' microscopiche della superficie dei grani.

L’effetto del lubrificante puo' essere valutato per mezzo della differenza tra la pressione richiesta per ottenere una data densita' della polvere miscelata col lubrificante e quella occorrente per raggiungere lo stesso effetto con la sola polvere.

Si individua cosi' una pressione di transizione al di sopra della quale la presenza del lubrificante diventa addirittura nociva, nel senso che porta a densita' dei pezzi pressati inferiori a quelle raggiungibili con la stessa pressione nella sola polvere metallica con lubrificazioni delle sole pareti dello stampo.

La pressione di transizione e' tanto piu' bassa quanto maggiore e' la quantita' di lubrificante miscelato con la polvere.

Per spiegare il motivo dell’azione nociva del lubrificante miscelato alla polvere basta pensare a cosa succede ai grani nelle operazioni di pressatura.

Con il riempimento della forma e il successivo scuotimento si provoca un avvicinamento dei grani che si assestano l’uno rispetto all’altro in modo da realizzare il maggior numero di punti d’appoggio reciproci e quindi una diminuzione del volume complessivo dei vuoti rispetto al volume apparente.

Se si adotta una miscelazione con lubrificante, particelle di questa sostanza saranno presenti nei vuoti che si formano tra le particelle della polvere metallica.

Quando si inizia la compressione si ha dapprima un ulteriore addensamento dei grani con un rapido aumento della densita' apparente, poi questi cominciano a deformarsi plasticamente nelle innumerevoli zone di contatto, che si estendono progressivamente riducendo di pari passo le luci dei canalicoli di collegamento dei singoli spazi vuoti delimitati tra gruppi di grani a contatto.

In questa fase le particelle di lubrificante non hanno la minima influenza perche' rimangono praticamente libere nelle cavita' che le ospitano.

Con l’ulteriore aumento della pressione il volume di queste cavita' viene ridotto e ad un certo punto raggiunge quello della particella eterogenea contenuta, che e' cosi' costretta a insinuarsi, in uno stato di forte pressione idrostatica, nei canalicoli che partono dalla cavita', la cui luce tende a restringersi sempre piu' con l’aumento della densita' del corpo pressato.

Questa estrusione del lubrificante dalla cavita' e' dannosa perche' impedisce il contatto diretto e la saldatura dei canalicoli in cui viene spinto.

Dopo il completo riempimento dei canalicoli ad essa accessibili, ogni particella di lubrificante e' soggetta ad una pressione idrostatica che, per quanto elevata, non ne puo' piu' provocare l’uscita dalla cavita' che la contiene; si ha cosi' un effetto peggiorativo per quanto riguarda la densita' apparente raggiungibile con una data pressione.

Nella pressatura senza miscelazione di lubrificante si osserva che ogni aumento della pressione applicata alle polveri porta ad un’astensione delle zone di contatto tra granuli adiacenti. Gli strisciamenti mutui producono un contatto diretto ed una forte distorsione locale dei reticoli cristallini che rappresentano le piu' adatte condizioni per una tenace saldatura nella successiva sinterizzazione.

Si aggiunga poi che i lubrificanti comunemente aggiunti alle polveri metalliche vaporizzano nella fase di sinterizzazione. Per l’elevata temperatura essi danno origine ad un elevato volume di sostanze allo stato aeriforme che devono sfuggire attraverso i pori del pezzo pressato affioranti in superficie, ma possono provocare con la loro pressione un rigonfiamento delle microcavita' interne del sinterizzato rimaste completamente chiuse, con abbassamento della densita' apparente finale e delle caratteristiche meccaniche del pezzo.

La lubrificazione delle parti degli stampi e' invece sempre efficace, perche' riveste la superficie di essi con un film eterogeneo fortemente aderente sul quale i granuli della polvere pressata scivolano piu' agevolmente.

Cio' porta ad una piu' uniforme distribuzione delle pressioni nella massa complessiva di polveri e quindi a piu' elevati valori della densita' in ogni punto nonche' del suo valore medio.

La lubrificazione delle pareti abbassa sensibilmente anche il valore dello sforzo occorrente per l’estrazione finale del pezzo pressato dallo stampo.

Un altro grave problema che si ha con la miscelazione di lubrificante alle polveri si ha nel momento della sua eliminazione.

La prima fase di eliminazione si ha per vaporizzazione nel riscaldamento fino a 500 C°, quindi si ha la decomposizione della fase residua; i prodotti di questo processo di decomposizione possono inoltre reagire con l’atmosfera del forno o col metallo sinterizzato. Ad esempio lo sviluppo di anidride carbonica puo' produrre effetti di ossidazione all’interno dei pori in sinterizzati di ferro.

Sia la vaporizzazione sia la decomposizione generano dei gas che possono rimanere intrappolati all’interno del sinterizzato se il riscaldamento e' molto rapido, questi pori con gas ad elevata pressione possono generare lesioni all’interno del pezzo che ne rovinano le caratteristiche meccaniche.

Se il riscaldamento e' graduale i prodotti della vaporizzazione e della decomposizione hanno la possibilita' di sfuggire dai pori che affiorano in superficie. Molti di questi possono poi richiudersi per l’azione della tensione superficiale. Si osserva cosi' che il pezzo sinterizzato mostra un ritiro tanto piu' grande quanto maggiore era il quantitativo di lubrificante.

Un sistema efficace per aumentare l’omogeneita' dell’azione di pressatura delle polveri consiste nell’impiego delle cosiddette matrici flottanti.

Le forze d’attrito risultano piu' limitate per la minore altezza di ciascuna delle due meta' ideali di un pezzo.

Oltre che in direzione assiale, con questa tecnica, il pezzo viene sottoposto a sollecitazioni di compressione anche in senso radiale, per la reazione delle pareti dello stampo.

Si deve ancora osservare che gli stampi vengono riempiti di polvere sciolta per semplice caduta. Se nella produzione di serie si usano partite di polveri con differenti volumi apparenti, derivanti ad esempio da diverse granulometrie o forma di grani, se la pressatura si esegue fino ad una certa altezza si avra' densita' finale minore nei pezzi con polvere di maggiore volume apparente iniziale.

Se invece la pressatura si esegue fino ad un dato valore della pressione, l’altezza dei pezzi prodotti risultera' minore in quelli ottenuti da polveri di maggiore volume apparente iniziale.

Per ottenere corpi cavi si puo' ricorrere all’impiego di anime estraibili dopo la pressatura o fatte di con metalli fusibili o sostanze volatili alle temperature raggiunte nella sinterizzazione finale.

In alcuni casi si puo' procedere alla formatura di polveri senza ricorrere alla pressatura.

Nei processi noti come slip casting una densa sospensione di polveri in acqua, o in altro liquido adatto, viene versata in una forma porosa. Nei pori di questa viene assorbita una certa quantita' del liquido e la polvere in esso contenuta si addensa sulla superficie della forma in un rivestimento di spessore praticamente uniforme.

Il corpo, in genere cavo, cosi' ottenuto, puo' essere poi sottoposto ad essiccazione e successivamente a sinterizzazione.

Le temperature di sinterizzazione sono molto piu' elevate di quelle necessarie per pezzi pressati a parita' di densita' finale da ottenere.

Questa tecnica e' comunemente usata per fabbricare crogioli di molibdeno o tungsteno.

 

La sinterizzazione

Il processo di sinterizzazione consiste nel riscaldamento ad una temperatura sufficientemente elevata, pari ad almeno 2/3 della temperatura assoluta di fusione, del pezzo di polvere pressata o addensata per slip casting.

Nella miriade di zone di contatto tra i grani della polvere si ha, per l’accresciuta agitazione termica degli atomi, un riassetto di questi in un reticolo regolare, con una saldatura di ogni coppia di granuli a contatto.

In tal modo la polvere addensata acquista una coesione e durezza nettamente piu' elevata, mentre aumentano sensibilmente la conducibilita' elettrica e termica.

Cio' e' dovuto al fatto che oltre alle saldature dei grani a contatto per il riassetto delle zone superficiali deformate nella compressione si ha una progressiva diminuzione della superficie delle cavita' intergranulari, che tendono a trasformarsi in cavita' sferiche sotto l’azione della tensione superficiale.

La riduzione dell’estensione delle cavita' intergranulari e' accompagnata da un aumento della densita' apparente del sinterizzato, che resta pero' sempre inferiore a quella dello stesso metallo ottenibile in una massa solidificata dal fuso e sottoposta a lavorazione plastica.

La densita' del sinterizzato puo' divenire praticamente uguale a quella teorica se si esegue una pressatura a caldo. In tali condizioni un sinterizzato mostra caratteristiche meccaniche superiori a quelle di un uguale pezzo ottenuto con i processi di solidificazione e lavorazione plastica.

Nei sinterizzati comuni la resistenza meccanica e' sempre inferiore a parita' di composizione del metallo.

Questo avviene perche' la presenza di cavita' riduce la sezione resistente oltre a provocare una concentrazione di tensioni per effetto d’intaglio.

Se il trattamento di sinterizzazione si esegue su un pezzo pressato composto di polveri di due metalli si ha, in conseguenza del riscaldamento, oltre alla saldatura dei grani, una diffusione mutua delle diverse specie di atomi.

In alcuni casi nella miscela di polveri e' presente un metallo a basso punto di fusione. Si ha allora la formazione di una fase liquida, che si insinua per capillarita' nei pori presenti assicurando una perfetta saldatura dei grani degli altri costituenti grazie a fenomeni di diffusione reciproca.

Resta infine da dire che la sinterizzazione deve necessariamente effettuarsi in atmosfera riducente o di composizione controllata e tale da non produrre ossidazione dei metalli trattati. Se si verificasse l’ossidazione, questa sarebbe molto veloce perche' il metallo allo stato di polvere mostra un’enorme superficie libera rispetto ad un’uguale massa di materiale compatto.

La velocita' di ossidazione riferita all’unita' di masso o di volume risulterebbe ad alta temperatura tanto elevata da trasformare rapidamente il pezzo in una massa incoerente di ossido polverulento.

Le particelle normalmente impiegate nella sinterizzazione hanno dimensioni comprese tra 0,5 e 200 m m. I materiali in forma cosi' finemente suddivisa sono spesso altamente reattivi: il ferro, preparato in particelle inferiori al micron, brucia rapidamente se esposto all’aria. Questa ignizione spontanea, nota come piroforicita', e' una seria difficolta' nella preparazione delle polveri metalliche e sorge dal fatto che il rapporto tra l’area superficiale e il peso e' altissimo. Per esempio 100 g di particelle di ferro di 1m m di diametro occupano un volume di circa 22 cm3 ed hanno un’area superficiale di 85.000 cm2. L’ossidazione di una cosi' grande superficie svolge calore che, essendo concentrato in una massa di solido relativamente piccola, fa salire rapidamente la temperatura al punto di ignizione.

Una massa di particelle di piccole dimensioni e di grande area adsorbe un enorme volume di gas ed altre impurezze: l’inclusione o l’eliminazione di queste impurezze ha una grande importanza pratica nel processo di sinterizzazione.

In alcuni casi la sinterizzazione avviene sotto vuoto spinto, ma questo procedimento non e' facilmente adattabile alla produzione continua; per questo motivo si preferisce usare forni con atmosfera controllata.

Le lavorazioni complementari

Per la maggior parte delle applicazioni i pezzi sinterizzati sono considerati finiti. In taluni casi sono necessarie altre operazioni per fornire determinare caratteristiche o rispettare determinate tolleranze.

Calibratura (sizing)

L’operazione di calibratura permette di ridurre le tolleranze dimensionali del pezzo finito. Il pezzo viene sottoposto in uno stampo e successivamente sottoposto a compressione in modo da ottenere la tolleranza dimensionale desiderata.

Tale operazione si concreta in una modesta azione meccanica mediante la quale il pezzo viene sottoposto a una deformazione plastica e a una riduzione di volume, il tutto a spese della porosita'.

Ripressatura (repressing)

L’operazione di ripressatura ha lo scopo di ottenere il miglioramento delle proprieta' fisico/meccaniche dei pezzi sinterizzati nei casi in cui l’impiego specifico preveda parametri di densita' del materiale di notevole livello.

Al fine di elevare il livello di densita' i pezzi vengono reinseriti in una fase di ripressatura e in una nuova fase di sinterizzazione.

Coniatura

L’operazione di coniatura riguarda lo stampaggio di un particolare sinterizzato inteso a produrre modifiche localizzate della forma senza incrementi generalizzati della densita'. La coniatura si propone quindi di arrivare a una maggior precisione con piccole modifiche di forma.

Sintero-forgiatura (powder metallurgy forging)

La sintero forgiatura e' un procedimento utilizzato per produrre particolari metallici partendo da sbozzati ottenuti mediante stampaggio a caldo. Alla preforma si fa seguire una forgiatura finale per arrivare alla forma complessa desiderata.

La preforma presenta una densita' che arriva al 99% di quella teorica con caratteristiche meccaniche superiori.

Impregnazione

L’operazione di impregnazione consiste nel riempire le microporosita' dei pezzi sinterizzati con oli lubrificanti o resine secondo le caratteristiche che si vogliono ottenere.

Con l’impregnazione con oli lubrificanti si ottengono i cuscinetti autolubrificanti di cui abbiamo gia' parlato.

L’impregnazione con resine, di solito di tipo acrilico o poliesteri termoindurenti, migliora la lavorabilita' all’utensile e facilita successivi processi di rivestimento elettrochimico.

Sia per l’impregnazione con resine che con oli lubrificanti, il processo viene eseguito in autoclavi che vengono dapprima riempite del liquido impregnante, poi poste sotto vuoto, e ,infine, dopo avere immerso i pezzi da impregnare, riportate a pressione atmosferica.

Lavorazioni meccaniche

Le lavorazioni meccaniche applicate al pezzo sinterizzato sono indispensabili nei casi in cui non si e' in grado di realizzare determinate forme o rispettare determinate tolleranze dimensionali.

La natura porosa del sinterizzato ostacola in una certa misura le lavorazioni all’utensile in quanto causa una maggior abrasione rispetto alle leghe compatte. Inoltre le lavorazioni all’utensile provocano strisciamenti che provocano l’occlusione della porosita' superficiale.

La lavorazione meccanica piu' utilizzata e' la sbavatura con la quale le bave metalliche che dopo il processo di sinterizzazione rimangono saldate al corpo del particolare vengono cosi' asportate.

Tempra

E’ possibile applicare lo stesso procedimento di tempra degli acciai compatti a quelli sinterizzati. Bisogna tenere conto della porosita', in quanto a causa di essa il pezzo sinterizzato presenta una minore conducibilita' termica del pezzo compatto; e' necessario quindi adottare velocita' di raffreddamento minori per evitare distorsioni o rotture del pezzo temprato.

Cementazione

La cementazione e' fortemente condizionata dal grado di porosita' del materiale; tale caratteristica influisce profondamente sulla profondita' di penetrazione degli elementi cementanti, profondita' che e' sempre maggiore che negli acciai compatti. In un pezzo sinterizzato con porosita' del 15%, per spessori non troppo elevati, si puo' avere cementazione estesa a tutta la sezione del pezzo.

Ossidazione in vapore

Il processo di ossidazione in vapore e' un trattamento termico la cui applicazione ai sinterizzati ferrosi ha avuto una divulgazione superiore a quella relativa ai normali acciai compatti.

Il processo consta nell’immissione del materiale ferroso in forni a pozzo, nei quali la temperatura oscilla tra i 500 e i 570 °C con vapore acqueo; a causa di tale trattamento il vapore si introduce in ogni superficie dei pori comunicanti con l’esterno e, agendo con queste, forma una pellicola di ossido, ferroso; tale pellicola dopo un certo tempo diviene impermeabile, limitando il proprio spessore al di sopra dei 10 m m. Considerando che l’ossido di ferro presenta una durezza molto piu' elevata del metallo o della lega ferrosa da cui si e' formato, ne deriva che il processo dell’ossidazione in vapore permette di ottenere, in modo semplice, un sensibile aumento della resistenza ad usura da strisciamento, una discreta resistenza alla corrosione, un raddoppio della resistenza a compressione e un sensibile aumento della durezza.

Bisogna aggiungere il fatto che l’ossidazione in vapore implica variazioni dimensionali molto limitate rispetto a processi come la tempra o la cementazione; inoltre fa assumere al pezzo un aspetto estetico migliore.

A fronte degli aspetti positivi, va considerata la diminuzione della tenacita' che comunque non pregiudica l’applicazione dei pezze trattati nelle piu' svariate applicazioni (un esempio sono i pistoni dei compressori a freon dei frigoriferi per usi domestici).